Uno studio coordinato dalla Sapienza di Roma analizza per la prima volta un meccanismo biologico utilizzato dalle piante per mettere in atto il differenziamento delle cellule staminali e adattarsi così all’ambiente. La ricerca, pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences, rappresenta un’innovazione metodologica nell’osservazione dei processi cellulari e potrebbe essere estesa anche alle staminali umane. Studiare in laboratorio i meccanismi rigenerativi delle piante, capaci di produrre continuamente nuovi “organi” come radici, foglie e fiori, è particolarmente utile per raccogliere preziose informazioni anche sulla fisiologia umana. Questo è stato il punto di partenza del gruppo di ricerca diretto da Sabrina Sabatini della Sapienza di Roma, che nel corso di una serie di esperimenti durati 4 anni ha individuato il meccanismo molecolare che attiva il processo di “trasformazione” di una cellula staminale vegetale in una cellula specializzata.

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Dalle piante all’uomo: il modello matematico di sviluppo della radice per comprendere il differenziamento delle staminali umane
17 Nov 2017 Scritto da Comunicato stampa Università "La Sapienza"Nuova luce sulla Sma, la malattia che blocca i muscoli dei bambini
17 Nov 2017 Scritto da Comunicato stampa CnrStabilita per la prima volta una chiara connessione tra l’atrofia muscolare spinale, una malattia genetica neuromuscolare che colpisce prevalentemente in età infantile, e la sintesi delle proteine. La scoperta rivela un nuovo processo cellulare implicato nella malattia e potrebbe permettere di sviluppare terapie. Lo studio, messo in copertina dalla rivista scientifica Cell Reports, vede il Trentino protagonista. È, infatti, frutto della collaborazione locale dell’Istituto di biofisica del Cnr e del Cibio dell’Università di Trento e risultato di un Grande Progetto PAT. I dettagli sono stati illustrati oggi in una conferenza stampa nel Palazzo della Provincia autonoma di Trento
Gattonare sembra una delle azioni più semplici. Ma c’è chi ha i muscoli talmente deboli da non poter fare nemmeno questo. Lo sanno bene le famiglie di bambini affetti dalla Sma, l’atrofia muscolare spinale, una malattia genetica che colpisce le cellule nervose del midollo spinale, quelle da cui partono i segnali diretti ai muscoli. Uno studio pubblicato in questi giorni getta una nuova luce su questa malattia. L’articolo stabilisce per la prima volta una chiara connessione fra un processo fondamentale per le cellule, la sintesi delle proteine, e il meccanismo attraverso il quale insorge e progredisce la Sma. Questa scoperta potrebbe permettere di meglio comprendere l’unica terapia esistente e recentissimamente approvata dalla Fda (Food and Drug Administration, ovvero Agenzia per gli Alimenti e i Medicinali, l’ente governativo statunitense che fra l’altro regolamenta l’immissione sul mercato di nuovi farmaci) e di sviluppare terapie alternative o integrative per questa malattia mortale.
Gli antibiotici: ci salvano la vita, ma usiamoli bene
15 Nov 2017 Scritto da Comunicato Società Italiana Malattie infettive e tropicali
In occasione della settimana mondiale sull’uso consapevole degli antibiotici, educazione, conoscenza e aderenza al tema per per sensibilizzare tutta la popolazione sulle resistenze dei batteri quale nuova emergenza sanitaria
“Il rischio è che i risultati di ricerche di molti anni svaniscano in pochi mesi” rileva Marco Tinelli, Direzione Nazionale della SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali. “Per affrontare il problema è assolutamente indispensabile fare rete”. Gli specialisti, con l'ISS e il Ministero Salute sono già al lavoro per favorire queste sinergie.
Dal 13 al 19 Novembre è in corso la Settimana Mondiale dell'antimicrobico-resistenza: un’iniziativa per sensibilizzare la popolazione su un problema medico-scientifico che sta coinvolgendo sempre più la popolazione, in Italia e non solo. Ogni anno, infatti, nel mondo circa 700mila decessi sono causati dall’antibiotico-resistenza; l’uso smodato di antibiotici infatti ha vanificato i loro effetti e reso i batteri più resistenti, con trend in continua crescita e costi sempre più elevati. Serve un uso prudente degli antibiotici, che restano uno degli strumenti principali a nostra disposizione per combattere gravi infezioni. Le loro capacità di guarigione hanno sicuramente garantito un miglioramento dell’aspettativa di vita, ma le ampie fasce di popolazione che vivono per lungo tempo con un sistema immunitario non ottimale vedono aumentato il rischio infettivo .
Usare gli antibiotici saggiamente per combatterne la crescente resistenza
13 Nov 2017 Scritto da Comunicato stampa FAOGiornata mondiale di sensibilizzazione sugli antibiotici (13-19 novembre 2017)
La resistenza agli antibiotici è salita a livelli pericolosamente elevati in tutte le parti del mondo e minaccia la nostra capacità di trattare comuni malattie infettive. Le infezioni che colpiscono le persone - tra queste la polmonite, la tubercolosi, l'avvelenamento del sangue e la gonorrea - e gli animali stanno diventando sempre più difficili e talvolta impossibili da trattare quando gli antibiotici diventano meno efficaci.
Gli antibiotici sono spesso sovra-prescritti da medici e veterinari e abusati dal pubblico. Dove possono essere acquistati per uso umano o animale senza prescrizione, l'emergere e la diffusione della resistenza ad essi è peggiorata. Esempi di un uso improprio comprendono l'assunzione di antibiotici per infezioni virali come raffreddori e influenza, e il loro impiego come promotori di crescita animale in aziende agricole o nell'acquacoltura.

Osservata per la prima volta, grazie a una collaborazione internazionale tra Ibbr-Cnr, Cnrs, Università di Napoli Federico II e Tigem, la struttura dell’enzima alfa-glucosidasi acida, la cui carenza caratterizza la grave patologia genetica che colpisce muscoli scheletrici e cuore. Lo studio, pubblicato su Nature Communications, apre nuove prospettive di cura
Avanzamenti importanti in arrivo per una delle patologie genetiche rare più comuni, la malattia di Pompe (dal nome del medico olandese che la descrisse per primo), che riguarda circa 10.000 individui nel mondo e circa 300 persone stimate in Italia con effetti devastanti su muscoli scheletrici e cuore difficili da curare. La malattia si manifesta quando l’organismo non produce quantità sufficienti dell’enzima alfa-glucosidasi acida (Gaa) che in condizioni normali permette la degradazione di una sostanza chiamata glicogeno. Ora un team internazionale di scienziati coordinato dal Centre National de la Recherche Scientifique (Cnrs) di Marsiglia, l’Istituto di bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibbr-Cnr), l’Università di Napoli 'Federico II' ed il Telethon Institute of Genetics and Medicine (Tigem) di Napoli, per la prima volta ha descritto la struttura di questo enzima riuscendo anche a identificare molecole che possono prevenirne l’inattivazione che determina la patologia. I risultati sono pubblicati sulla rivista Nature Communications.
Un team di ricerca internazionale che coinvolge l’Ispaam-Cnr spiega in uno lavoro pubblicato su Nature Communications e finanziato da Airc perché le cellule tumorali resistono ai farmaci chemioterapici in alcune patologie oncologiche, aprendo prospettive per lo studio e la messa a punto di nuove cure che rendano le cellule malate più sensibili a chemio e radio
Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications cui ha partecipato l’Istituto per il sistema produzione animale in ambiente mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Ispaam-Cnr) di Napoli getta nuova luce su alcuni meccanismi molecolari responsabili della resistenza delle cellule tumorali alla chemio e radioterapia.
“Applicando moderne tecniche di analisi genomica e proteomica abbiamo individuato un nuovo meccanismo funzionale della proteina Ape1, un enzima di riparazione del danno al Dna che contribuisce al processo di instabilità genetica associata a diversi tumori, come quelli che colpiscono seno, ovaie e il cervello (glioblastoma), scoprendo un nuovo ruolo nel processo di tumorigenesi”, spiega Andrea Scaloni, direttore dell’Ispaam-Cnr dove, grazie alle strumentazioni presenti, sono stati svolti gli studi di proteomica del lavoro. “Abbiamo capito che la proteina Ape1 è in grado di regolare il processamento dei microRna, piccole molecole dell’acido ribonucleico (Rna), contribuendo alla regolazione dell’espressione di geni coinvolti nei fenomeni di chemioresistenza. Inoltre abbiamo evidenziato come questa proteina, interagendo con molte altre, giochi un ruolo importante nello sviluppo del cancro”.
Aspetti epidemiologici dell’infezione da Hpv
Figura 1: Prevalenza delle infezioni da Hpv per classe d’età nella popolazione generale in Italia
L’infezione da Hpv è estremamente frequente nella popolazione: si stima, infatti, che fino all’80% delle donne sessualmente attive si infetti nel corso della propria vita con un virus Hpv di qualunque tipo, e che oltre il 50% si infetti con un tipo ad alto rischio oncogeno. Una revisione sistematica di studi condotti in Italia [1] ha rilevato una prevalenza di Hpv oncogeni nella popolazione generale pari all’8%, senza differenze sostanziali fra Sud, Centro e Nord. È opportuno sottolineare che il calcolo di questa prevalenza ha considerato solo gli studi con campione casuale della popolazione; infatti gli studi che reclutano donne che si presentano spontaneamente a un ambulatorio ginecologico riportano una stima di prevalenza generalmente più alta degli studi che reclutano le donne in base a un invito attivo della popolazione generale. Questo probabilmente, è dovuto al fatto che le donne che accedono spontaneamente agli ambulatori ginecologici hanno, in proporzione variabile, pregressi Pap test positivi.
Le disabilità intellettive sono spesso causate da difetti genetici. Un recente studio dell’Istituto di neuroscienze del Cnr di Milano, ha dimostrato che negli affetti dalla mutazione del gene TM4SF2, l’azione di una particolare molecola è in grado di migliorare l’attività cerebrale, favorendo il corretto transito cellulare del neurotrasmettitore glutammato. Il lavoro pubblicato su Cerebral Cortex
I disordini dello sviluppo intellettivo si manifestano durante i primi anni di vita, provocando deficit cognitivi nell’ambito della socializzazione e delle capacità pratiche. Le cause più frequenti legate all’insorgenza di queste patologie sono i disturbi genetici, tra cui, le mutazioni di geni localizzati sul cromosoma X, come quelle che riguardano il gene TM4SF2. Questo gene reca l’informazione necessaria per la produzione della proteina TSPAN7, in assenza della quale vengono alterati numerosi processi cellulari, provocando squilibri intellettivi nella popolazione degli affetti.
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