Un team di ricercatori ha individuato un nuovo metodo più efficace per somministrare i farmaci nel trattamento delle degenerazioni retiniche come la maculopatia. La novità arriva dal dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa dove Susi Burgalassi, Daniela Monti, Nadia Nicosia, Silvia Tampucci, Eleonora Terreni e Patrizia Chetoni hanno condotto uno studio sperimentale in collaborazione con Andrea Vento Direttore dell’Unità di oculistica dell’Ospedale Versilia di Viareggio. La ricerca finanziata con i fondi di Ateneo è stata appena pubblicato sulla rivista “Drug Delivery and Translational Research”, giornale ufficiale della Controlled Release Society.
Ad oggi per la cura delle degenerazioni retiniche viene principalmente utilizzato il Bevacizumab, un farmaco che blocca la genesi vascolare della malattia, e la sua somministrazione avviene mediante iniezioni intraoculari all’interno del corpo vitreo ripetute, generalmente, a cadenza mensile.
“Queste ripetizioni aumentano il rischio e la gravità degli effetti collaterali che, in alcuni casi, possono essere anche molto seri – spiega Susi Burgalassi dell’Università di Pisa - del resto, la macromolecola del Bevacizumab non supera le barriere oculari in quantità terapeuticamente sufficienti se somministrato per via topica, cioè attraverso un semplice collirio”.
La soluzione sperimentata è stata quindi quella di mettere a punto un millimetrico impianto da inserire nell’occhio sotto la congiuntiva per il rilascio prolungato del farmaco, che si “dissolve” naturalmente una volta esaurito il suo compito. Si tratterebbe cioè di una “matrice” ottenuta mediante liofilizzazione e realizzata con un polimero che deriva dalla cellulosa.
“La possibilità di dosare il farmaco attraverso questo sistema, pur mantenendo un certo grado di invasività, porterebbe ad una diminuzione della frequenza di somministrazioni, con conseguente diminuzione dell’incidenza di effetti collaterali”, aggiunge Susi Burgalassi.

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‘Nuovo messaggero’ di un gene regola la fertilità maschile delle piante
18 Mag 2018 Scritto da Istituto di biologia e patologia molecolare (Cnr-Ibpm), Università di Kyoto (Giappone), Riken Institute di Yokohama (Giappone)Un team coordinato dall’Istituto di biologia e patologia molecolare del Cnr ha dimostrato che nelle piante la fertilità maschile è collegata a uno specifico messaggero del gene ARF8. L’indagine, pubblicata su Plant Cell, implica importanti ricadute in piante di interesse agrario di tipo ibrido che mostrano un maggior vigore rispetto a quelle prodotte per autofecondazione
L’immagine a sinistra mostra gli stami corti nel fiore della linea mutante arf8-7 che è difettiva del gene ARF8. L’immagine a destra mostra un ripristino della lunghezza degli stami nel fiore che esprime solo la variante di splicing ARF8.4.
La fertilità maschile in ambito vegetale dipende da un nuovo messaggero di un gene. Lo ha scoperto un team coordinato dall’Istituto di biologia e patologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm), unità di Roma, in collaborazione con l’Università di Kyoto e il Riken Institute di Yokohama, nell’ambito dei progetti bilaterali (Italia – Giappone) di grande rilevanza finanziati dal Ministero degli affari esteri e dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Lo studio, pubblicato sulla rivista Plant Cell, implica importanti potenziali ricadute in ambito agrario, poiché aiuterà la produzione di sementi ibride in specie coltivate, come riso, melanzana, pomodoro e molte altre.
“Sappiamo che la fertilità o capacità riproduttiva maschile delle piante è regolata dall’ormone auxina. La nostra indagine ha preso quindi in esame il fattore di trascrizione ARF8 (il gene Auxin Response Factor 8) che media gli effetti di questo ormone”, spiega Maura Cardarelli, primo ricercatore del Cnr-Ibpm. “L’obiettivo è stato capire come questo gene contribuisca alla fertilità maschile nelle piante in grado di autofecondarsi. Per questo motivo abbiamo lavorato su Arabidopsis, una specie spontanea presa comunemente a modello in quanto contiene sia gli organi fiorali maschili sia quelli femminili ed è quindi autogama, cioè si autofeconda. L’autofecondazione è una caratteristica negativa che va eliminata nelle piante coltivate. Infatti, la conseguenza è una maggiore consanguineità e le piante ‘prodotte’ per autofecondazione sono più deboli di quelle ibride, prodotte per incrocio tra due piante diverse. Per questo motivo in agricoltura vengono utilizzate sementi ibride e la loro produzione è favorita dalla ridotta fertilità maschile”.
Team ricercatori italiani scopre malattia che provoca grave encefalopatia
09 Mag 2018 Scritto da Ospedale pediatrico Meyer e dell'Universita' di Firenze
Occhio: sperimentato un nuovo e più efficace sistema per somministrare i farmaci
09 Mag 2018 Scritto da Università di PisaLo studio è stato condotto dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Unità di oftalmologia dell’Ospedale Versilia
Alterazione genetica all’origine della precoce ossificazione del cranio dei neonati. La scoperta dei ricercatori dell’Università Cattolica pubblicata su “Bone”
07 Mag 2018 Scritto da Policlinico Universitario A. Gemelli
Il risultato dello studio, coordinato dai ricercatori dell’Istituto di Anatomia Umana e Biologia cellulare della sede di Roma dell’Università Cattolica, in collaborazione con l’UOC di Neurochirurgia Infantile della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, apre la strada al disegno di nuovi test diagnostici più specifici per le craniosinostosi, malformazioni congenite del cranio causate dalla prematura ossificazione delle suture.
Si chiama BBS9 il gene coinvolto nel processo di craniosinostosi, malformazione congenita, diagnosticata alla nascita o nei mesi immediatamente successivi, legata alla prematura ossificazione e chiusura delle suture, che sono regioni elastiche nel cranio del neonato. La scoperta, di recente pubblicata sulla rivista scientifica “Bone”, è frutto dell’attività di ricerca, coordinata dalla dottoressa Wanda Lattanzi, ricercatrice dell’Istituto di Anatomia Umana e Biologia Cellulare della sede di Roma dell’Università Cattolica, diretto dalla professoressa Ornella Parolini, in collaborazione con l’Istituto di Anatomia Umana e Biologia Cellulare e della sede di Roma dell’Università Cattolica e l’Unità Operativa Complessa di Neurochirurgia Infantile della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. La craniosinostosi ha una prevalenza di 1 caso ogni 2000-2500 nati vivi; in Italia si stimano circa 180 nuovi casi all’anno, di cui circa 100 sarebbero casi di “craniosinostosi non sindromica”, che sono le forme studiate dal gruppo di ricerca. Lo studio, ha coinvolto 16 pazienti, fra gli oltre 400 reclutati presso questo centro, dovevengono trattati chirurgicamente in media 50-70 pazienti all’anno affetti da craniosinostosi, cioè oltre il 50% dell’intera casistica italiana.
Nell’olio d’oliva la molecola contro il diabete
07 Mag 2018 Scritto da Comunicato Università La Sapienza
Eat well, stay well. Questo il manifesto della dieta mediterranea, il modello nutrizionale che ha ricevuto l’onorificenza di "patrimonio orale e immateriale dell’umanità" per le ricadute positive che ha sulla salute. A oggi sempre più studi vanno nella direzione di verificare come alcune componenti alimentari siano in grado di prevenire determinate patologie e aumentare la qualità e la durata della vita.
In un precedente studio il gruppo guidato da Francesco Violi del Dipartimento di Medicina interna e specialità mediche della Sapienza, ha dimostrato che l’assunzione di 10 g. di olio extravergine di oliva durante i pasti era in grado di ridurre di 20 mg la glicemia post-prandiale. Dalla ricerca era emerso che l’extravergine di oliva si comporta come un antidiabetico con un meccanismo simile ai farmaci di nuova generazione, cioè le incretine (ormoni naturali prodotti a livello gastrointestinale che riducono il livello della glicemia nel sangue). L’assunzione di olio extravergine di oliva si associa, infatti, a un aumento nel sangue delle incretine.

"L'inquinamento dell'aria ci minaccia tutti- avverte Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale Oms- e' inaccettabile che oltre tre miliardi di persone, la gran parte donne e bambini, respirino ancora fumi tossici ogni giorno a causa dell'uso di stufe e fornelli alimentate da combustibili inquinanti nelle loro case. Se non agiamo con urgenza sull'inquinamento dell'aria, non arriveremo mai nemmeno vicini a raggiungere uno sviluppo sostenibile".
L'Organizzazione mondiale della sanita' stima che circa 7 milioni di persone muoiano ogni anno a causa dell'esposizione al particolato sottile contenuto nell'aria inquinata e che penetra a fondo nei polmoni e nel sistema cardiovascolare, causando ictus, malattie cardiache, cancro polmonare, malattie polmonari ostruttive croniche e infezioni respiratorie tra le quali le polmoniti.
Progetto “La rabbia che non si vede”: un test rivela gli indicatori precoci di aggressività nei minori
03 Mag 2018 Scritto da Policlinico A. Gemelli
Rilevare indicatori precoci di rischio sulle nuove psicopatologie emergenti in età infantile e in adolescenza, attraverso la somministrazione di test che misurano l’aggressività nei minori. Questo, in sintesi, è l’obiettivo del progetto di ricerca “La rabbia che non si vede”, promosso dal Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da Web della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli.
“Fin da piccoli - spiega il responsabile del progetto dott. Federico Tonioni, Dirigente Medico UOC Psichiatria Policlinico Gemelli, Istituto di Psichiatria e Psicologia Università Cattolica - i bambini apprendono dall’esperienza grazie a un istinto primario che promuove l’esplorazione dell’ambiente e la ricerca di relazioni. Questa spinta irrefrenabile rappresenta una sana forma di aggressività, si esprime attraverso il movimento e la capacità di vivere le emozioni, ed è la stessa che induce un bambino a camminare e un adolescente a uscire di casa per la prima volta da solo”. Nei bambini è necessario che tale energia vitale sia accompagnata da una presenza genitoriale attiva che gli consenta di fare esperienze in sicurezza e di avere quell’approvazione genitoriale indispensabile per la crescita. Se ciò non accade in misura sufficiente, l’istinto a crescere non diventa esperienza e in qualche modo viene trattenuto dentro, trasformandosi in rabbia. Questa rabbia profonda, che sta alla base di numerose forme di psicopatologia tra gli adolescenti, può esprimersi con una tendenza all’iperattività e alla ribellione o rimanere sottotraccia e, quindi, gestita nel tempo, con la nascita di sintomi psicosomatici, idee ipocondriache, incapacità a intraprendere e a mantenere relazioni con gli altri e abuso di videogame con contenuti violenti. “La rabbia che non si vede - continua Tonioni - riteniamo possa avere un ruolo decisivo anche nei disturbi dell’apprendimento, perché compromette l’autostima e la capacità dei bambini di credere in se stessi, nonostante siano dotati di un nuovo profilo cognitivo”.

Con quali conseguenze per la salute dell'occhio? Il danno ossidativo induce alla lunga uno stress dei mitocondri, organi che producono l'energia necessaria alle cellule ganglionari retiniche e che- messi sotto attacco dai radicali liberi- diventano meno efficienti. Ecco perche' stress ossidativo e disfunzione del mitocondrio giocano, insieme all'aumento della pressione dell'occhio, un ruolo importante anche nello sviluppo del glaucoma.
Cosa c'entra lo stress ossidativo con il glaucoma. Quando si parla di glaucoma si pensa subito solo alla pressione elevata dell'occhio. In realta', diversi studi hanno dimostrato che vari altri fattori, oltre alla pressione oculare, agiscono sulle cellule ganglionari retiniche (RGCs) condizionandone il buon funzionamento e la sopravvivenza. "In particolare, gioca un ruolo lo stress ossidativo e la conseguente disfunzione del mitocondrio- spiega il professor Luciano Quaranta, direttore del Centro per lo Studio del Glaucoma presso l'Universita' degli Studi di Brescia- La cellula ganglionare e' sensibile all'azione nociva dei radicali liberi dell'ossigeno (chiamati Ros), sostanze che si formano durante le normali attivita' corporee, come respirare, e che solitamente il corpo stesso neutralizza grazie alla presenza degli antiossidanti. Quando, pero', i radicali liberi aumentano in presenza ad esempio di una elevata pressione oculare elevata, le difese antiossidanti non sono sufficienti e si viene a creare una condizione di stress ossidativo in cui i radicali liberi hanno la possibilita' di danneggiare varie tipi di cellule presenti all'interno dell'occhio".
Nuovo studio sulla rivista Oncogene finanziato da Airc. Regina Elena e Ibpm-Cnr: scoperta nella regolazione di fattori cruciali per la formazione dei tumori
27 Apr 2018 Scritto da Ibpm-Cnr, Ire, Airc
“Aurora B - spiega Cinzia Rinaldo - è spesso deregolata nei tumori e il suo malfunzionamento può portare alla formazione e progressione dei tumori”. Ciliberto: “Il lavoro aggiunge un nuovo tassello che chiarisce i meccanismi della divisione cellulare e della proliferazione di cellule tumorali”
Dimmi come ti dividi e ti dirò chi sei. Circa un terzo dei tumori umani, infatti, possono originare da cellule ‘difettose’ che si dividono ‘male’. Un recente studio dei ricercatori dell’Istituto Regina Elena (Ire) e dell’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibpm-Cnr), pubblicato sulla rivista Oncogene, ha identificato un nuovo ruolo della proteina Aurora B che risulta cruciale per un corretto completamento della divisione cellulare. Aurora B è espressa in maniera anomala in molti tipi di tumori ed è stata identificata come bersaglio molecolare di nuove terapie antitumorali; farmaci che ne bloccano l'attività sono oggetto di studi pre-clinici e clinici. Il recente studio dei gruppi di ricerca diretti da Silvia Soddu del Regina Elena e da Cinzia Rinaldo dell’Ibpm-Cnr apre un nuovo capitolo sulla comprensione del meccanismo di controllo della divisione cellulare e sulle cause scatenanti l’insorgenza di molti tumori.

"Non sono gli embrioni morfologicamente normali che s'impiantano nell'utero materno, come una volta si riteneva spiega il professor Ermanno Greco, direttore scientifico del Centro di Medicina della Riproduzione dell'European Hospital di Roma che, in collaborazione con il Genoma Group Molecular Genetics Laboratories, ha pubblicato lo studio sul 'New England Journal of Medicine' e ora su 'Fertility and Sterility'- ma quelli geneticamente sani. Significa che tramite la diagnosi genetica preimpianto e' possibile capire quali siano gli embrioni con un corredo cromosomico corretto e, se anche ci sono alterazioni morfologiche, sanno comunque risolverli da soli".
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