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Fukushima, è ancora contaminato l’85% dell’Area Speciale di Decontaminazione. Greenpeace: «La tabella di marcia per lo smantellamento della centrale di Fukushima Daiichi è irrealizzabile, serve un nuovo piano»

A quasi dieci anni di distanza dall’incidente nucleare di Fukushima Daiichi, Greenpeace pubblica oggi due rapporti che evidenziano la complessa eredità del terremoto e dello tsunami dell’11 marzo 2011.

Nel primo rapporto, “Fukushima 2011-2020”, vengono descritti i livelli di radiazione nelle città di Iitate e Namie, nella prefettura di Fukushima. I risultati delle prime indagini mostrano che gli sforzi di decontaminazione sono stati limitati e che l’85% dell’Area Speciale di Decontaminazione è ancora contaminata.

Il secondo rapporto, “Decommissioning of the Fukushima Daiichi Nuclear Power Station From Plan-A to Plan-B Now, from Plan-B to Plan-C”, analizza l’attuale piano ufficiale di smantellamento in 30-40 anni. Un programma deludente e senza prospettive di successo.


Un nuovo rapporto del WWF e di altre 15 Ong sottolinea l'importanza di ripristinare l’habitat di fiumi e laghi non solo per gli animali, ma anche per le comunità che dipendono da essi

Più di un terzo dei pesci d’acqua dolce rischiano una vera e propria estinzione di massa in tutto il mondo. A lanciare l’allarme è stato il rapporto “The World’s Forgotten Fishes”, firmato da WWF e altre 15 Ong, tra cui London Zoological Society (Zsl), Global Wildlife Conservation e The Nature Conservancy. Secondo lo studio, 80 specie si sono già estinte, di cui 16 soltanto lo scorso anno, ma questo numero è destinato a salire.

Un terzo delle specie a rischio

Il rischio è che nel giro di 15 anni spariranno ben un terzo delle specie, cioè circa 6mila. Si legge nel rapporto che negli ultimi 50 anni, la popolazione di pesci migratori è diminuita del 76%, mentre quella dei grandi pesci, con peso superiore ai 30 chili, è calata del 94 per cento.
Lo studio cita tra le principali cause di questa drastica diminuzione il cambiamento climatico ma aggiunge anche altri problemi, come l’inquinamento, la pesca eccessiva e poco sostenibile e l’introduzione artificiale di specie non native. Come spiega Bbc bisogna anche considerare che milioni di persone si affidano ai pesci d'acqua dolce sia come fonte di sostentamento, sia come fonte di reddito attraverso la pesca e il commercio di pesci per acquari. Il rapporto, tra le cause, menziona anche il fatto che la maggior parte dei fiumi del pianeta è parzialmente sbarrato da dighe o soggetto a impianti utilizzati per distribuire l’acqua per uso irriguo.



Il nuovo studio del WWF sui possibili scenari per sostenere anche l'attività di pesca

Gli stock ittici del Mediterraneo, inclusi quelli di grande valore commerciale di nasello e cernia, potrebbero rigenerarsi se il 30% del mare venisse protetto efficacemente [1]. Considerando che ad oggi, solo il 9,68% del Mar Mediterraneo è indicato come ‘protetto’ e che solo l’1,27% è effettivamente tutelato, c’è ancora molto lavoro da fare.
Il nuovo report del WWF “30 per 30: Possibili scenari per rigenerare la biodiversità e gli stock ittici nel Mediterraneo” indica gli scenari per l’attività di conservazione nel Mar Mediterraneo, analizzando i benefici che l’interruzione della pesca insostenibile e della pesca illegale, e di altre attività dannose in aree selezionate, porterebbe alla biodiversità marina e alle popolazioni ittiche. Lo studio è stato condotto in collaborazione con i ricercatori del CNRS-CRIOBE Francese, l’Ecopath International Initiative e l’ICM-CSIC Spagnolo.

 
L’Università di Milano-Bicocca e il governo della Repubblica delle Maldive da oggi insieme per la salvaguardia della scogliera corallina. Una partnership per raggiungere nuovi importanti traguardi sui temi della sostenibilità e della biodiversità

Nel corso della cerimonia trasmessa questa mattina in diretta streaming dall’aula magna del campus milanese, la rettrice dell’Ateneo, Giovanna Iannantuoni, e il ministro della Pesca, risorse marine e agricoltura della Repubblica delle Maldive, Zaha Waheed (in collegamento video) hanno firmato l’accordo dando ufficialmente il via al progetto per lo sviluppo di linee di ricerca collaborative.

Le scogliere coralline sono tra gli ecosistemi più complessi e ricchi di biodiversità sulla Terra, ma sono minacciate da una gestione non sostenibile dell’ambiente e delle sue risorse.

La partnership stipulata oggi prevede l’avvio di un vero e proprio censimento di tutte le tecniche utilizzate per il restauro delle scogliere coralline (coral reef restoration), con l’obiettivo di individuare quelle più efficaci per garantire la sopravvivenza di questi delicati organismi presenti alle Maldive e di mettere a punto le linee guida nazionali per la loro applicazione e il loro monitoraggio.


Salute, prosperità, lotta ai cambiamenti climatici: senza Natura non c’è futuro, nella decade proposta dall’ONU sulla restoration degli ambienti naturali

 

Abbiamo 10 anni per ricomporre il grande mosaico naturale italiano che, una volta ricostruito, manterrà in sicurezza il nostro capitale naturale garantendo prosperità e salute per tutti noi. Nell’avvio della decade promossa dall’ONU alla restoration dei sistemi naturali, il WWF con la sua nuova campagna ReNature Italy lancia una sfida di un grande progetto di rigenerazione della natura del nostro Paese che sposa la visione ambiziosa su come dovremo trasformare l’Italia entro il 2030, a partire da oggi. 4 le parole chiave: connessione, ripristino, protezione e rewild, cioè il ritorno in natura di specie importanti.


ReNature Italy è la risposta concreta agli allarmi sulla perdita di biodiversità a livello globale e nazionale: 1 specie su 2 di vertebrati in Italia è minacciata d’estinzione, l’86% degli habitat europei è in cattivo stato di conservazione, perdiamo ogni giorno 16 ettari di territorio naturale sotto la pressione di cemento e degrado. Suolo fertile, ecosistemi con i loro servizi, piccoli e grandi habitat vengono trasformati e distrutti: centinaia di tessere naturali si perdono quotidianamente, e silenziosamente, in ogni angolo del paese, e si erodono poco per volta le connessioni vitali di un ecosistema sempre più fragile e il nostro capitale di natura. Per questo la prima richiesta alle istituzioni del WWF è quella di riportare al centro della politica il ruolo della natura, dedicando fondi significativi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) alla conservazione e ripristino della natura, cogliendo la sfida della Strategia Europea per la Biodiversità e avviando la Nuova Strategia Nazionale per la Biodiversità al 2030 per recuperare la natura che abbiamo perso.



Un articolo pubblicato su PNAS rileva per la prima volta tre composti ozono-distruttori proibiti dal Protocollo di Montreal, grazie ai dati prodotti da una rete globale di 15 stazioni di cui fa parte l'Osservatorio climatico O. Vittori sul Monte Cimone, gestito dall'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Cnr. L'aumento delle concentrazioni è dovuto a emissioni industriali in Asia orientale di tipo non intenzionale, ancora non regolamentate.

A poco più di trent’anni dalla sua entrata in vigore, il Protocollo di Montreal per la protezione dell’ozono stratosferico, che limita la produzione e l’uso di gas ozono-distruttori, è considerato uno dei maggiori successi della cooperazione internazionale, data l’ampia adesione. Ben 197 paesi hanno ratificato il trattato, impegnandosi a drastiche limitazioni nella produzione e nell’uso di questi composti. Tuttavia, risulta fondamentale riuscire a controllare il rispetto degli accordi. Misurare in continuo i livelli di questi gas in atmosfera è uno degli strumenti disponibili per questo controllo, implementato attraverso la messa in rete di osservatori che, sotto l’egida del WMO (l’Organizzazione mondiale della meteorologia), misurano in tutto il mondo e da molti anni i livelli atmosferici dei composti dannosi per l’ozono.

Tra le stazioni che fanno parte delle reti di misura globali c’è l’Osservatorio climatico Ottavio Vittori, posto sulla vetta del Monte Cimone e gestito dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) in collaborazione con l’Aeronautica militare. Sul Cimone, grazie alla collaborazione con l’Università di Urbino, da 20 anni si misurano, tra gli altri, i gas responsabili del “buco” nell’ozono stratosferico.



Il carbone è il peggiore tra i combustibili fossili, sia per la salute che per l'ambiente

Il WWF accoglie con grande favore la conferma formale da parte del Ministero dell’Ambiente che la centrale a carbone di La Spezia dovrà cessare la sua attività entro il 2021.
Il fatto che il Ministero, nella lettera inviata al comune della città ligure, ribadisca con fermezza che "il decreto di riesame dell'Aia D.M. 351 del 6 dicembre 2019 è ad oggi pienamente vigente e pertanto resta valida la prescrizione che prevede la cessazione dell'utilizzo del carbone al 2021, per l'unico gruppo ancora in esercizio nella centrale di La Spezia", fornisce un messaggio chiaro del fatto che occorre rispettare le procedure ambientali e, di fatto, andare a chiudere gli impianti termoelettrici a carbone non più rispondenti alle prescrizioni delle procedure ambientali stesse.
WWF auspica che questo pronunciamento non venga ostacolato da altri dicasteri in base a supposte carenze di rete, dal momento che in Liguria c’è già un gruppo da quasi 800MWe funzionante di un’altra centrale a gas (Vado Ligure) che lavora a scartamento ridotto (ha prodotto appena 1.900 GWh/anno quando ne avrebbe potuti produrre oltre 5.000).

Amori bestiali nelle Oasi WWF

12 Feb 2021 Scritto da



In natura corteggiamento fra gli animali è uno spettacolo in più

GLI SVASSI E LA DANZA DEL PINGUINO
Oasi WWF Le Cesine

Il periodo degli amori, dalla fine dell’inverno all’inizio dell’estate, è senz’altro il più indicato per osservare questo meraviglioso uccello: entrambi i partner sfoggiano una magnifica livrea nuziale che avevano dismesso durante la brutta stagione. Dorso bruno, collo e parti inferiori bianche, due ciuffi auricolari neri e una vistosa gorgiera, una specie di largo collare marrone e nero, fanno dello svasso maggiore uno degli uccelli più eleganti della nostra avifauna.
Il rituale di corteggiamento è tra i più spettacolari del mondo animale e consiste in una serie di posizioni sull’acqua che raggiungono il culmine nella cosiddetta “danza del pinguino” (weed dance): dopo un’immersione, i due svassi riemergono con un ciuffo di alghe o di piante acquatiche nel becco e si avvicinano fino a impennarsi, battendo velocemente le zampe, petto contro petto, scambiandosi talvolta gli stessi vegetali del becco. Stabilito il legame di coppia, il nido consiste in una piattaforma galleggiante di alghe e vegetazione ripariale, spesso ancorato vicino alle rive, dove vengono deposte fino a quattro uova covate da entrambi i genitori per 25-29 giorni. È emozionante vedere i pulcini, già pochi giorni dopo la nascita, spuntare con le loro testoline e il collo a strisce bianche e nere, seminascosti dal dorso degli adulti, in attesa del cibo. Man mano che i giovani crescono, i pesci o i girini catturati dagli adulti saranno rilasciati sulla superficie dell’acqua in modo che i piccoli imparino a catturarli da soli, fino al raggiungimento della completa autosufficienza. La specie è stanziale e nidificante a Le Cesine, nel 2020 ben 18 nidi sono stati censiti e monitorati.


Come il programma di salvaguardia del rinoceronte bianco del Nord ha superato le sfide poste da una pandemia globale.


La pandemia causata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2 ha cambiato la vita delle persone ovunque e ha influenzato i processi economici, culturali, sociali e politici. La ricerca e la conservazione della biodiversità non sono risparmiati da questi effetti negativi, mentre le conseguenze positive di una "antropausa" sull'ambiente sono ancora oggetto di discussione. Il progetto di ricerca BioRescue, un programma che mira a salvare il rinoceronte bianco del Nord dall’estinzione, restituisce un esempio di quali sono le sfide che è necessario superare quando si conduce una ricerca e si promuove un progetto di conservazione all’interno di un consorzio internazionale al tempo di una pandemia globale.



Uno studio dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iia) evidenzia una significativa diminuzione di inquinanti, come il biossido di azoto, nell’aria di Roma e del Lazio nei mesi di marzo e aprile 2020. I dati sono frutto della combinazione delle osservazioni spaziali del sensore TROPOMI con le misure acquisite a terra e sono stati pubblicati su Springer Nature

 

Le restrizioni nazionali imposte per limitare la diffusione del SARS-CoV-2 e di conseguenza contenere la COVID-19 hanno portato ad una diminuzione della concentrazione degli inquinanti come il biossido di azoto (NO2) nella città di Roma e nell’area nord-occidentale della regione Lazio, fino a quasi dimezzarsi nei mesi del lockdown (marzo-aprile 2020) rispetto allo stesso periodo del 2019. È quanto emerge dallo studio realizzato e pubblicato su Springer Nature dai ricercatori Cristiana Bassani, Francesca Vichi, Giulio Esposito, Mauro Montagnoli, Marco Giusto e Antonietta Ianniello dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iia) combinando le osservazioni del sensore TROPOspheric Monitoring Instrument (TROPOMI) a bordo del satellite Sentinel 5P con le misure acquisite a terra nelle stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria (Arpa) e nella stazione di monitoraggio A. Liberti del Cnr-Iia collocata presso l’area di ricerca Rm1 del Cnr.

 

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