
Ambiente (631)
Non ci sono giorni normali per uno ricercatore di orsi polari. Per oltre 35 anni, Andy Derocher ha studiato gli orsi polari mentre allevano i cuccioli, cacciano e si riproducono, vivendo tantissime esperienze. Con il supporto del WWF, il suo team monitora gli orsi polari della Baia di Hudson occidentale, in Canada.
Quello che non tutti sanno è che un biologo che studia gli orsi polari può lavorare solo nelle giornate di sole, perché le nuvole e la luce piatta rendono impossibile il tracciamento di questi animali. Gli orsi polari si muovono su vaste aree, ed è questo il motivo per cui gli elicotteri sono un altro strumento essenziale per la ricerca. Per portare a termine il lavoro, però, serve occorre uno stomaco di ferro: manipolare gli escrementi di un orso polare può nauseare anche il ricercatore più resistente. Ma tra le attività più difficili, emozionanti e utili per la conservazione di questa specie, c’è la cattura. Il protocollo utilizzato da Andy e dal suo team è sempre lo stesso: individuato un orso dall’elicottero, si anestetizza con un dardo e si attivano i rilieviprima che l'orso si svegli. La cattura di un orso polare deve essere sicura per l'animale, ma anche per l'equipaggio di ricerca.
Il Black Friday è ormai alle porte ed è facile imbattersi in una delle innumerevoli offerte o sconti proposti per questa nuova abituale ricorrenza. Ma al contrario di quanto accade nel mercato globale in quest’ultimo venerdì di novembre, la Natura non è scontata e per molte specie animali e vegetali, ciò che continua drammaticamente a diminuire sono le probabilità di sopravvivenza.
Negli ultimi 50 anni il nostro mondo è stato trasformato dall’esplosione del commercio globale, dei consumi e della crescita della popolazione umana, oltre che da un grandissimo incremento dell’urbanizzazione. Queste tendenze di fondo stanno portando al degrado della natura e allo sovrasfruttamento delle risorse naturali ad un ritmo senza precedenti.
Il Living Planet Index globale (LPI) 2020 evidenzia un decremento medio del 68% delle popolazioni monitorate di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci tra il 1970 e il 2016. Un saldo che farebbe purtroppo impallidire anche i migliori sconti del Black Friday. E lo stato di salute generale degli ecosistemi non è meno drammatico: da metà dell’800, le attività umane hanno distrutto e degradato foreste, praterie, zone umide e altri importanti ecosistemi, mettendo a serio rischio la sopravvivenza di molte specie e minacciando il loro stesso benessere. Il 75% delle aree naturali terrestre (esclusi i territori coperti dai ghiacci) è stato sostanzialmente impattato dall’uomo; le zone umide, tra gli ambienti maggiormente impattati dall’uomo in questi decenni, segnano invece una diminuzione dell’85%.
Dallo scempio della pineta Le Tore a Sorrento, fermato dai Carabinieri forestali dopo le denunce del WWF, all'oasi del Parco dei Cedri a Bologna, nata grazie al WWF bolognese; dalla mappa urbana degli alberi di Milano al censimento dei patriarchi arborei (minacciati) condotto dai volontari WWF sul Monte Faito, in Campania.
Aiutano a mitigare la calura estiva, regolano il flusso delle acque piovane, aumentano il valore degli immobili, assorbono CO2 contrastando così il cambiamento climatico, trattengono numerose sostanze inquinanti, contengono l’inquinamento atmosferico e acustico, creano preziose zone d’ombra, sono l’habitat ideale per tante specie di uccelli e piccola fauna selvatica. Popolano parchi, giardini pubblici, viali, aiuole e orti, rendendo più belle le nostre città. Sono gli alberi, esseri viventi vitali per la nostra sopravvivenza, a cui sabato 21 novembre si dedica la Giornata Nazionale e che di recente sono stati oggetto di un importante provvedimento da parte del Governo. Il “Decreto clima”, infatti, con un emendamento presentato dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa, stanzia 30 milioni per finanziare, in due anni, progetti di forestazione urbana. Per gli alberi, però, la vita nei centri urbani non è sempre facile: secondo molte amministrazioni locali rappresentano “un rischio per la pubblica incolumità” o tolgono spazio a strade e parcheggi.
Uno studio congiunto del Cnr-Iac e dell’Ingv prevede un possibile terremoto di magnitudo 6 tra poco più di tre anni presso la cittadina di Parkfield in California, grazie all’analisi dell'evoluzione dell'attività sismica di un segmento della faglia di San Andreas. La metodologia proposta ha permesso di prevedere (retrospettivamente) con accuratezza il tempo di occorrenza del terremoto avvenuto nel sito nel 2004. La predittività del metodo esposto nello studio diventa sempre maggiore all’avvicinarsi del momento in cui accadrà il terremoto di cui si sta tentando di prevedere il tempo di occorrenza
La collaborazione scientifica tra l'Istituto per le applicazioni del calcolo "Mauro Picone" del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iac) e l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), tramite rispettivamente i ricercatori Giovanni Sebastiani e Luca Malagnini, ha permesso di realizzare uno studio, pubblicato su Journal of Ecology & Natural Resources, che prevede nel 2024 un terremoto di magnitudo circa 6 presso la cittadina di Parkfield, situata lungo la faglia di San Andreas in California. In questo luogo, dal 1857 al 1966, sono avvenuti sei terremoti di magnitudo 6, ad intervalli di tempo quasi regolari, da 12 a 32 anni, con una media di circa 22 anni. Dal 1985 i geologi americani hanno installato nella zona una rete di strumenti molto avanzata, allo scopo di rilevare cosa accade prima di un evento sismico, al fine di prevedere futuri terremoti.
Greenpeace presenta la guida per scegliere detergenti privi di ingredienti in plastica liquida (e non)
16 Nov 2020 Scritto da Greenpeace
Greenpeace diffonde oggi una guida all’acquisto dei detergenti per permettere di scegliere prodotti privi di materie plastiche, usate spesso come ingredienti in detersivi e saponi per il bucato, le superfici e le stoviglie e destinate a finire nell’ambiente.
Lo scorso luglio l’organizzazione ambientalista, con il rapporto “Plastica liquida: l’ultimo trucco per avvelenare il nostro mare”, aveva già denunciato la presenza di materie plastiche in forma solida (note come microplastiche), liquida, semisolida o solubile in numerosi detergenti presenti sul mercato italiano. “Nelle prossime settimane, a causa delle nuove restrizioni dovute alla pandemia, passeremo molto più tempo in casa che probabilmente impiegheremo per prendercene cura. Cerchiamo dunque di acquistare prodotti privi di ingredienti in plastica, in qualsiasi forma essa si presenti, per non aggravare la contaminazione globale” dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace.
C’è tanta, troppa natura sacrificata in molti prodotti di largo consumo, alcuni dei quali tipicamente italiani, come il caffè: l’80% della deforestazione mondiale è, infatti, è dovuta alla necessità di fare posto ai pascoli per la produzione di carne, alle piantagioni di soia e olio di palma richiesti dai Paesi occidentali che consumano e sprecano sempre di più. I consumi dell’Europa sono responsabili del 10% della deforestazione globale, che avviene prevalentemente al di fuori dei confini dell’UE, e il nostro Paese ha un’alta responsabilità visto che siamo un tradizionale importatore di materie prime provenienti dalle foreste: non solo legname, ma anche carni, soia, olio di palma, caffè, cacao, cuoio, e altro ancora, tutti prodotti ad alto ‘contenuto’ di deforestazione.
Lo svela il nuovo report del WWF lanciato oggi dal titolo “Quanta foresta avete mangiato, usato o indossato oggi?” dove gli esempi della deforestazione ‘incorporata’ in molti dei beni di consumo evidenziano i link nascosti tra la perdita impressionante di foreste e i nostri gesti quotidiani: negli ultimi 30 anni sono stati deforestati 420 milioni di ettari di terreni, più o meno quanto la superficie dell’intera Unione Europea, gran parte dei quali in aree tropicali. Ogni anno vanno persi circa 10 milioni di ettari a causa della conversione di foreste in terreni agricoli. Un danno enorme sia per la biodiversità, visto che circa l’ 80% delle specie animali e vegetali terrestri del Pianeta vive nelle foreste, sia per gli effetti drammatici sui cambiamenti climatici: la perdita di foreste amplifica la crisi climatica a causa delle elevatissime quantità di carbonio che vengono rilasciate e a causa delle perdita della regolazione del sistema climatico nel suo complesso.
La Danimarca abbatterà 17 milioni di visoni per contrastare l'epidemia da Covid-19
09 Nov 2020 Scritto da WWF
Il WWF: "Urgente ripensare i nostri modelli di produzione intensiva"
Si stima che siano ben 17 milioni i visoni che saranno abbattuti per contrastare l’epidemia di COVID-19: tanti sono gli animali attualmente allevati in Danimarca per la produzione di pellicce. I visoni, come i furetti, presentano infatti recettori di membrana molto simili a quelli umani e per questo sono come noi sensibili all’infezione da SARS-COV-2. Quando migliaia di individui sono racchiusi in spazi ristretti, come i visoni allevati, il virus circola più velocemente e aumenta la sua probabilità di mutazione, trasmettendo nuovi ceppi alla popolazione umana e rischiando di rendere inefficace il vaccino in fase di sviluppo. Per questo le autorità danesi hanno deciso di abbattere tutti i visoni allevati nel paese, il primo esportatore mondiale di pellicce di visone.
Si tratta però di una strage annunciata. Lo stesso era successo in occasione dei due più recenti episodi di influenza aviaria del 2003 e 2013, lo stesso per l’influenza suina del 2009. Animali sfruttati per la nostra alimentazione e tenuti in condizioni insostenibili e disumane, diventano focolaio di vecchie e nuove malattie zoonotiche (malattie trasmesse dagli animali all’uomo). Considerando inoltre che per produrre i foraggi degli allevamenti intensivi distruggiamo ecosistemi naturali, cruciali per il nostro benessere, stiamo creando il mix giusto per la tempesta perfetta.
Scoperto un nuovo “termometro” per studiare temperature e clima passato del pianeta
04 Nov 2020 Scritto da Università di Pisa
L’Università di Pisa partner dello studio sull'Antro del Corchia in Toscana pubblicato sulla rivista Nature Communications
C’è un nuovo termometro per misurare e studiare le temperature e il clima passato del nostro pianeta. Si tratta del magnesio contenuto in particolari concrezioni, dette speleotemi, che si formano lentamente all’interno di piccoli laghi o pozze dentro le grotte. La scoperta arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e realizzato da un team internazionale guidato dai professori Giovanni Zanchetta del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa e Russell Drysdale dell’Università di Melbourne. Alla ricerca hanno inoltre collaborato per parte italiana l’Istituto di Geoscienze e Georisorse CNR e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Pisa.
Budget di N2O per il periodo 2007-2016. Le frecce colorate rappresentano i flussi di N2O (in Tg N /anno) da fonti antropogeniche (giallo), emissioni da fonti naturali (verde), fonti e consumi atmosferici (blu). Modificato da Tian et al. 2020, Nature.
Una ricerca internazionale dimostra che negli ultimi decenni le emissioni del protossido di azoto, potente gas serra causato principalmente dall’uso di fertilizzanti in agricoltura, stanno crescendo a ritmi sostenuti con il rischio di compromettere gli obiettivi climatici dell’accordo di Parigi. Lo studio, pubblicato su Nature, ha visto la partecipazione dell’Istituto di scienze marine del Cnr
Il crescente utilizzo di fertilizzanti azotati in agricoltura ha provocato, negli ultimi decenni, un’impennata della concentrazione atmosferica di protossido di azoto (N2O), il terzo gas serra di lunga durata più importante dopo l’anidride carbonica (CO2) e il metano (CH4), che contribuisce alla riduzione dell'ozono stratosferico. Se il trend dovesse proseguire a ritmi così sostenuti, l’aumento della temperatura media globale potrebbe sforare ben oltre la soglia dei 2°C stabilita dagli accordi di Parigi 2015. È quanto dimostra uno studio pubblicato su Nature, coordinato dalla Auburn University (Alabama, Usa), sotto l'egida del Global Carbon Project e della International Nitrogen Initiative, che ha coinvolto scienziati di 14 Paesi e 48 Istituti di ricerca, tra cui l’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismar).
Le tartarughe sono animali sociali: la scoperta utile per la loro sopravvivenza
28 Ott 2020 Scritto da Università di Milano Bicocca
Anche le tartarughe sono in grado di formare gerarchie sociali ed è così che competono per il cibo, per il partner e per il territorio. A dimostrarlo uno studio dei ricercatori dell’Unità per la Conservazione della Biodiversità del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Università di Milano-Bicocca.
Le ricerche hanno riguardato lo studio del comportamento di alcuni esemplari di tartaruga palustre europea (Emys orbicularis galloitalica), i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica Animals (https://doi.org/10.3390/ani10091510).
Le tartarughe sono state studiate durante la fase di allevamento in condizioni controllate (headstarting), attuata per ridurne drasticamente la mortalità post-natale in natura, nell’ambito di un progetto di reintroduzione della specie nel Parco regionale di Montevecchia e della Valle del Curone (Lecco), dopo la sua estinzione locale avvenuta presumibilmente circa un secolo fa.
I ricercatori hanno osservato l’insorgere di diversi comportamenti sociali tra le giovani tartarughe. Durante la somministrazione di cibo, gli studiosi hanno registrato tentativi di morso sia alla testa sia alla coda e anche delle simulazioni di monta, che negli animali non ancora maturi sessualmente assume un significato diverso da quello riproduttivo.