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La ricerca dell’Ateneo sul litorale da Viareggio a Calambrone nel Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli

C’è una barriera verde che protegge le coste. Piante come lo sparto pungente o la gramigna delle spiagge sono fra i migliori difensori contro l’invasione di plastica. La loro conformazione e le radici molto ramificate agiscono infatti come vere e proprie “trappole” per limitare la dispersione dei rifiuti. La conferma del ruolo fondamentale svolto dalla vegetazione dei sistemi dunali arriva da uno studio pubblicato su Marine Pollution Bulletin e condotto da un team dell’Università di Pisa sul litorale da Viareggio a Calambrone nel Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli.

Alessio Mo, Marco D’Antraccoli, Gianni Bedini e Daniela Ciccarelli sono partiti da un censimento dei rifiuti marini. Tre le spiagge che hanno preso in esame: Calambrone, Lecciona e Bufalina, la prima a sud della foce del fiume Arno e le ultime due a nord, siti in cui si depositano maggiormente i detriti a causa delle correnti.La maggior parte del materiale che hanno rilevato (85%) era costituita da plastiche di natura polimerica, quindi carta e cartone (3,6%) e legno lavorato (3,1%). In particolare, per quanto riguarda la plastica si trattava soprattutto di frammenti di piccole e medie dimensioni, resti di spugne domestiche, pacchetti di patatine, involucri di dolci e mozziconi e filtri di sigaretta, ma anche vasi in plastica e sacchetti per mangimi o fertilizzanti associati alle attività agricole.

 

Più del 60 per cento degli 11 miliardi di bottiglie immesse al consumo in Italia ogni anno non vengono riciclate. È quanto emerge dal rapporto di Greenpeace “L’insostenibile peso delle bottiglie di plastica”, da cui si deduce che circa 7 miliardi di contenitori in PET (Polietilene Tereftalato, il tipo di plastica utilizzato per produrli) da 1,5 litri, usati per confezionare le acque minerali e le bevande, rischiano di essere dispersi nell’ambiente e nei mari, contribuendo in modo massiccio all’inquinamento del pianeta. A ciò si aggiungono le emissioni di gas serra generate dalla produzione delle bottiglie non riciclate, pari a 850 mila tonnellate di CO2 equivalenti, che aggravano la crisi climatica.

“L’Italia è uno dei maggiori consumatori globali di bottiglie di plastica per le acque minerali e le bevande. Ma nonostante i numeri impietosi del riciclo, le grandi aziende continuano a immetterne sempre di più sul mercato, facendo enormi profitti e non assumendosi alcuna responsabilità sul corretto riciclo e sul recupero a fine vita”, dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Se vogliamo ridurre l’inquinamento da plastica nei nostri mari, le grandi aziende devono fare la loro parte e promuovere soluzioni a basso impatto ambientale come l’impiego di contenitori lavabili e riutilizzabili”.



In uno studio appena pubblicato su Communications biology, una rivista del gruppo Nature, un team di ricercatori coordinato dal Prof. Simone Tosi dell’Università di Torino, ha svolto un ampio esperimento internazionale su più sottospecie di api per valutare gli effetti a breve e lungo termine di un pesticida di nuova generazione, il flupyradifurone. La ricerca dimostra come questo pesticida, definito "sicuro per le api", comprometta la sopravvivenza e il comportamento delle api anche a livelli di contaminazione bassi.

L'aumento dell'uso di pesticidi è una delle principali cause della riduzione della salute delle api, della biodiversità degli insetti e minaccia l'impollinazione negli ecosistemi naturali e agricoli. Per affrontare questo problema, un team di ricerca internazionale ha quindi valutato gli effetti a lungo termine di un nuovo pesticida, il flupyradifurone, che viene commercializzato come relativamente "sicuro per le api".


Lo studio “Future climate change shaped by inter-model differences in Atlantic Meridional Overturning Circulation response” condotto da Politecnico di Torino e CNR ha comparato le previsioni di 30 modelli climatici differenti individuandone il punto debole nella discordanza delle previsioni. Fondamentale affinare tali modelli con le campagne di osservazione nel Nord Atlantico.


Quello delle previsioni e delle conseguenze dei cambiamenti climatici è ormai un argomento cruciale non solo per scienziati e meteorologi, ma coinvolge da vicino ed interessa direttamente anche il pubblico dei non addetti ai lavori, che ne avverte come tutti noi gli effetti quotidianamente.
Uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISAC), e dal Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture (DIATI) del Politecnico di Torino dal titolo “Future climate change shaped by inter-model differences in Atlantic Meridional Overturning Circulation response” ha messo a confronto le previsioni fornite da 30 modelli climatici di ultima generazione che includono nel loro codice numerico tutto ciò che si sa riguardo al sistema climatico.



La prima tappa sarà italiana: dal 27 giugno al 7 luglio si parte dall’Area Marina Protetta di Portofino.
Una settimana di eventi con il supporto del Comune di Santa Margherita Ligure

Dopo un anno di pausa forzata a causa della pandemia, la Blue Panda, barca a vela ambasciatrice del WWF, è pronta a salpare per un viaggio che per 5 mesi la porterà ad attraversare 6 delle più iconiche Aree Marine Protette (AMP) del Mediterraneo: da giugno a novembre la missione è quella di promuovere i loro tesori e liberarle dagli attrezzi fantasma depositati sui fondali, un pericolo per la biodiversità marina, grazie al lavoro congiunto con pescatori, subacquei e gestori delle AMP.

Con l’avvio della stagione estiva, insieme ai cittadini e i turisti locali, la Blue Panda esplorerà il valore naturale, sociale e culturale di questi siti unici e accompagnerà le persone in un vero e proprio tour per scoprire aree sulle quali incombe spesso la minaccia del turismo di massa, della pesca non sostenibile e altre attività umane non gestite. Qui la pagina del sito dedicata a Blue Panda >>

Donatella Bianchi, Presidente del WWF Italia: “Il Mediterraneo deve diventare un incubatore di modelli virtuosi in grado di rispondere alle minacce che mettono in pericolo il nostro mare e la grande biodiversità che custodisce. Ricordiamo che il Mare Nostrum rappresenta appena l’1% di superficie degli oceani ma ospita il 10% di tutte le specie marine conosciute. Il progetto Blu Panda ha il compito, da un lato di mettere in evidenza queste minacce, anche attraverso attività di ricerca durante la navigazione, dall’altro di sensibilizzare persone, comunità ed istituzioni sulla necessità di una protezione sempre più estesa ed efficace del nostro Capitale Blu. La missione è raggiungere l’obiettivo del 30% di Mediterraneo efficacemente protetto previsto dalla nuova Strategia sulla Biodiversità europea”.


Uno studio appena pubblicato su Communications Earth & Environment, una rivista del gruppo Nature, svela per la prima volta, il ruolo dei fiumi nel ciclo dell’anidride carbonica. Un progetto di ricerca internazionale, a cui hanno partecipato ricercatori delle Università di Torino e del Piemonte Orientale, rivela come la produzione di anidride carbonica nei sistemi d’acqua corrente segua un pattern complesso in cui interagiscono fattori climatici, latitudinali, ambientali ed ecologici.

Ritenere che gli elementi naturali siano dotati di vita propria è un aspetto ricorrente in moltissime culture tradizionali. Nelle credenze animistiche si pensava che il vento, le montagne, le radure e i boschi avessero una propria personalità e volontà, comportandosi spesso come veri e propri esseri viventi. In questo contesto, fiumi e torrenti hanno sempre ed ovunque ricevuto una particolare attenzione: l’acqua perpetuamente in movimento, capace di rumoreggiare, muovere tronchi e massi, scavare le sponde, benefica ma anche spaventosa, era ritenuta un elemento animato e vivo in moltissime culture. Ormai l’animismo permane in poche ed isolate popolazioni e va scomparendo rapidamente: i cinefili ricorderanno Dersu Uzala, cacciatore siberiano immortalato nel bellissimo film di Akira Kurosawa, che vedeva òmini, cioè esseri senzienti, nel fuoco e negli elementi naturali della sua sconfinata taiga.


Il biennio 2020-2021 doveva segnare la svolta nella lotta ai rifiuti di plastica in natura ma il Covid ha riacceso la sfida: 7 miliardi di mascherine vengono usate ogni giorno e la loro dispersione in natura ha gravissimo impatto su specie e habitat.

2 miliardi di tonnellate è il peso dei rifiuti che un mondo sempre più popolato produce ogni anno. Una quantità enorme che potrebbe crescere del 70% entro il 2050. E il fenomeno ha da qualche anno un simbolo: la plastica. Il biennio 2020/2021 avrebbe dovuto segnare la svolta nella lotta dei rifiuti di plastica in natura, che minacciano le specie -in particolare le tartarughe marine- e inquinano gli habitat. Ma il contrasto all’emergenza provocata dal Covid-19 ha riacceso la sfida contro questo nemico, che si ripresenta nell’utilizzo di numerosi oggetti usa e getta, come le mascherine monouso fatte in fibre di plastica.

Lo spiega il WWF Italia nel suo ultimo paper “La lotta al Covid frena quella all’inquinamento da plastica” in cui si approfondisce la questione a oltre un anno dall’inizio della pandemia.

 

Sulla Marmolada l’inesorabile innalzamento delle temperature spinge gli stambecchi a cambiare i loro orari di pascolamento e a spostarsi verso quote altimetriche maggiori. Gli adattamenti comportamentali sviluppati da questa e altre popolazioni presenti sulle Dolomiti potrebbero non essere sufficienti di fronte al futuro incremento dello stress termico.
Il cambiamento climatico sull’arco alpino ha un impatto importante sugli spostamenti e sui ritmi di attività degli ungulati, ponendo interrogativi sulla loro futura capacità di adattamento alle crescenti temperature: è ciò che emerge dallo studio pubblicato su «Ecology Letters» - tra le più importanti riviste internazionali nel settore - dal titolo "Behavioural heat-stress compensation in a cold-adapted ungulate: Forage-mediated responses to warming Alpine summers" frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente dell'Università di Padova (DAFNAE) e il Dipartimento Biodiversità e Ecologia molecolare del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach.


Lo studio
La ricerca, coordinata dal Professor Maurizio Ramanzin del Dipartimento DAFNAE dell’Università di Padova e dalla Dottoressa Francesca Cagnacci della Fondazione Edmund Mach, è stata condotta dal 2010 al 2017 nell’area dolomitica della Marmolada su 24 femmine di stambecco in età riproduttiva. Per la prima volta sono stati integrati i dati da sensori apposti sugli animali, per individuarne i movimenti e l’attività di foraggiamento e di riposo, dati da remote sensing, per descrivere la variazione spaziotemporale dell’abbondanza e della qualità della vegetazione, protocolli di osservazione diretta sul campo, per confermare la presenza del capretto al seguito delle femmine, e proiezioni climatologiche per quantificare le condizioni ambientali che lo stambecco si troverà a fronteggiare in futuro. I ricercatori hanno così potuto ottenere un quadro completo dell’ecologia e del comportamento di questa specie in dipendenza dai fattori ambientali, ma anche fornire una prospettiva di studio innovativa che possa essere applicata ad altre specie particolarmente soggette al cambiamento climatico.



Sabato e domenica, 5 e 6 giugno torna la Festa delle Oasi WWF, quest’anno dedicata all’attesissimo ritorno alla natura: adulti, ragazzi, bambini e famiglie potranno visitare le aree protette dal WWF

Link alla pagina dedicata alla Festa delle Oasi>>

Assistere alla liberazione di animali guariti dopo essere stati costretti a lunghi ricoveri è una emozione indimenticabile. Questi eventi sono possibili grazie all’attività dei Centri di Recupero per Animali Selvatici (CRAS), veri e propri ospedali della biodiversità, che si trovano all'interno o in prossimità delle Oasi WWF. Proprio alle 100 aree protette gestite dal WWF in Italia saranno dedicate le giornate di sabato 5 (Giornata Mondiale dell'Ambiente) e domenica 6 giugno 2021, durante le quali cittadini, famiglie, ragazzi e bambini sono invitati a godere della bellezza e del fascino degli spazi naturali protetti dal WWF in una giornata di riconquistata libertà.



Necessario prendere misure urgenti per ridurre le emissioni

La temperatura media globale ha circa il 40% di possibilità di raggiungere temporaneamente un innalzamento di 1,5°C in almeno uno dei prossimi cinque anni, secondo un nuovo report sul clima pubblicato dall'Organizzazione meteorologica mondiale (WMO).

Almeno un anno tra il 2021-2025 ha una probabilità del 90% di diventare il più caldo in assoluto, il che scalzerebbe il 2016 dalla prima posizione, secondo il Met Office del Regno Unito, principale centro WMO per tali previsioni.

Nel 2020 - uno dei tre anni più caldi di sempre - la temperatura media globale è stata di +1,2 °C sopra la soglia del periodo pre-industriale. Si è anche evidenziata l'accelerazione degli indicatori del cambiamento climatico come l'aumento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacci marini e eventi metereologici estremi, così come il peggioramento degli impatti sullo sviluppo socio-economico.

 

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