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Ogni anno nel mondo vengono prodotte circa 83 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, il 65% dei quali è costituito da fibre sintetiche derivate dai combustibili fossili, mentre ogni secondo l’equivalente di un camion della spazzatura pieno di vestiti viene bruciato, disperso nell’ambiente o avviato in discarica. Tra le principali destinazioni di questa tipologia di rifiuti c’è l’Africa, che nel 2019 ha ricevuto il 46% del tessile usato dall’Unione Europea: per la metà si tratta di indumenti di scarto che finiscono soltanto per inquinare l’ambiente. Sono alcuni dei dati riportati da “Draped in Injustice”, nuovo report di Greenpeace Africa che offre una panoramica sul commercio degli abiti di seconda mano, svelando gli impatti dei rifiuti tessili importati nel continente.

Pubblicato in Ambiente



Sebbene l'apparato respiratorio rappresenti una delle vie principali attraverso cui le microplastiche e le nanoplastiche (MNP) presenti nell'aria penetrano nell'organismo, le loro ripercussioni sui polmoni sono ancora poco chiare. Per la prima volta, un gruppo di ricercatori dell'Università Medica di Vienna ha dimostrato che le MNP possono scatenare mutazioni maligne nelle cellule polmonari, collegandole all'insorgenza del cancro. I risultati, pubblicati sul Journal of Hazardous Materials, enfatizzano ulteriormente l'urgenza di agire per ridurre la dispersione dei rifiuti plastici.

Pubblicato in Medicina


Dall’analisi delle risonanze magnetiche di oltre 46.000 persone è emerso che un peso corporeo eccessivo è associato a un invecchiamento accelerato del cervello e a una maggiore atrofia cerebrale. Un fenomeno che vale in particolare per i maschi e che tende a diminuire con l’avanzare dell’età.

Un peso corporeo eccessivo, in particolare lo stato di sovrappeso o di obesità, è associato a un invecchiamento accelerato del cervello e a una maggiore atrofia cerebrale, soprattutto tra gli uomini.

È quanto emerge dal più ampio studio internazionale condotto finora sul rapporto tra peso corporeo e salute cerebrale. Pubblicato sulla rivista eBioMedicine, lo studio ha coinvolto oltre 46.000 persone in 15 progetti di ricerca.

Pubblicato in Medicina

 

Il veleno d’ape, noto in campo medico come apiterapia, è da tempo studiato per le sue proprietà antinfiammatorie e analgesiche, ma recentemente la ricerca scientifica lo ha posto sotto i riflettori anche come possibile alleato nella lotta contro i tumori, in particolare quello al seno. Studi recenti suggeriscono che certi componenti del veleno abbiano una spiccata attività antitumorale, aprendo interessanti prospettive terapeutiche.

Come agisce il veleno di ape sulle cellule tumorali?

Il principio più attivo del veleno d’ape è la melittina, un peptide che costituisce circa la metà delle proteine totali del veleno. La melittina mostra la capacità di:
Indurre apoptosi (morte cellulare programmata) nelle cellule tumorali del seno, specialmente nelle forme più aggressive come il triplo negativo e il carcinoma HER2-positivo.
Inibire segnali e vie fondamentali per la crescita e la replicazione delle cellule cancerose, come i recettori dell’epidermal growth factor (EGFR) e HER2, frequentemente alterati nei tumori mammari.
Aumentare la permeabilità delle membrane cellulari, favorendo sia la distruzione diretta delle cellule tumorali sia l’ingresso dei farmaci chemioterapici, potenziando la loro efficacia.
Esperimenti condotti su linee cellulari di diversi sottotipi di cancro al seno hanno mostrato una selettività sorprendente: il veleno d’ape e la melittina sono molto più tossici per le cellule tumorali rispetto a quelle sane, riducendo il rischio di effetti collaterali rilevanti.

Pubblicato in Medicina



Una ricerca pubblicata sulla rivista Energy & Environmental Materials ha dimostrato che le celle solari a perovskite possono funzionare in modo efficiente anche in ambiente acquatico, aprendo la strada a tecnologie energetiche innovative per l’uso subacqueo. Lo studio è frutto della collaborazione tra due Istituti di ricerca del Cnr, l’Università degli studi di Roma Tor Vergata e la società BeDimensional Spa.

L’energia solare potrebbe presto trovare una nuova e sorprendente applicazione: il fondo del mare. Una ricerca pubblicata sulla rivista Energy & Environmental Materials ha, infatti, dimostrato che le celle solari a perovskite possono funzionare in modo efficiente anche in ambiente acquatico, aprendo la strada a tecnologie energetiche innovative per l’uso subacqueo.

Pubblicato in Ambiente

 

L’incontro tra neuroscienze e tecnologie digitali sta vivendo un’accelerazione senza precedenti, trainata dallo sviluppo di nuove interfacce cervello-macchina (BCI, Brain-Computer Interface) capaci di restituire funzioni motorie e sensoriali in pazienti con gravi disabilità, ma anche di espandere le possibilità della mente umana. Nel 2025, l’attenzione del mondo scientifico, industriale e bioetico si concentra sul salto di qualità di queste tecnologie, ormai non più solo spettro della fantascienza.

Cosa sono le interfacce cervello-macchina?

Le BCI sono sistemi che mettono in comunicazione diretta l’attività neurale con dispositivi esterni—computer, arti robotici, sistemi domotici—consentendo di trasmettere pensieri in comandi reali, aggirando vie nervose danneggiate o assenti. La generazione attuale di BCI utilizza microelettrodi impiantabili ad altissima densità, in grado di leggere e stimolare l’attività di aree cerebrali anche molto piccole.

Pubblicato in Tecnologia


Pubblicato su “Psychological Research” uno studio coordinato dalle Università di Padova e Bergamo rivela come l'effetto placebo – l'aspettativa positiva – abbia migliorato la lettura nei bambini con dislessia evolutiva in misura superiore rispetto ai tradizionali programmi di riabilitazione. I risultati, replicati anche in studenti universitari, evidenziano che la riabilitazione tradizionale della dislessia quasi mai tiene conto dell'effetto placebo.

Pubblicato in Medicina




Abstract: In the first two parts of our essay, we outlined the fundamental paradox of capitalism—its relentless pursuit of growth on a finite planet—and analyzed how war can unexpectedly act as a "reset" mechanism for this system. We examined cycles of destruction and reconstruction, the stimulus from military spending, and technological spin-offs, all while acknowledging the severe inefficiencies and moral costs of "Military Keynesianism." In this third part, we will shift our focus to the inherent and insurmountable limits that the capitalist model is now overtly encountering. We will explore the convergence of demographic, environmental, and resource crises, demonstrating the illusory nature of decoupled growth and reinforcing the urgency for a radical paradigm shift.

Pubblicato in Scienceonline

Excavation area of Can Argilera in CN (Pit 7/8). The exact place where the fossil specimen was found is indicated with a black spot.



The most complete Pliocene mole fossil ever found in Europe reveals an unexpected evolutionary link to modern North American species.

A team of researchers from the Institut Català de Paleoecologia Humana i Evolució Social (IPHES-CERCA), the Universitat Autònoma de Barcelona (UAB), and the Institut Català de Paleontologia Miquel Crusafont (ICP-CERCA) has identified and described Vulcanoscaptor ninoti (“the Camp dels Ninots volcano digger”), a previously unknown genus and species of Pliocene mole. The fossil was unearthed at the Camp dels Ninots palaeontological site (Caldes de Malavella, Girona), one of the most important locations for studying the fauna that inhabited southern Europe more than 3.5 million years ago.

The specimen preserves the mandible with a complete dentition, part of the torso, and several bones from both the forelimbs and hindlimbs, many of them still in anatomical connection. This exceptional state of preservation is extremely rare in small mammals such as moles and makes this specimen one of the oldest and most complete ever found in Europe.

Pubblicato in Scienceonline

Una ricerca di archeologia sperimentale della Sapienza analizza le tracce lasciate durante la realizzazione di due incisioni lapidee, avviando una comparazione tra produzioni Alto e Basso Medievali. Lo studio, pubblicato sulla rivista “PLOS ONE”, si propone come modello per indagini future

Uno studio di archeologia sperimentale condotto dal Dipartimento di Scienze dell’antichità della Sapienza propone un approccio profondamente innovativo per lo studio delle iscrizioni medievali su pietra. La ricerca, pubblicata su “PLOS ONE”, introduce protocolli digitali accessibili e replicabili con l’obiettivo di ricostruire le azioni messe in atto dagli artigiani nella lavorazione della pietra e di riconoscere tecniche impiegate e livello di abilità esecutiva.

Pubblicato in Paleontologia

Medicina

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