In altre parole, prosegue l'esperto, non vi e' "alcun tasso misurabile di evoluzione per tutto il periodo di 450 anni, che separa il campione prelevato dalla piccola mummia da quelli moderni". La spiegazione potrebbe consistere nel fatto che essendo l'epatite B una malattia sessualmente trasmessa, e non tramite animali o insetti vettori, il virus non ha avuto la necessita' di mutare almeno negli ultimi cinque secoli. L'eruzione vescicolo-pustolosa del bambino e le analisi immunologiche di trenta anni fa (allora gli studi sul Dna antico non erano ancora disponibili) avevano suggerito che il bambino fosse stato affetto da vaiolo. Utilizzando tecniche avanzate di mappatura genetica, i ricercatori hanno dimostrato chiaramente che il bambino era stato infettato dall'Hbv. "È interessante- aggiunge ancora il professor Fornaciari- notare che i bimbi con infezione da epatite B possono sviluppare un'eruzione facciale, nota come sindrome di Gianotti-Crosti, che potrebbe essere stata identificata come vaiolo. Non puo' essere pero' esclusa anche una co-infezione". Secondo alcune stime, oltre 350 milioni di persone oggi hanno infezioni croniche da epatite B, mentre circa un terzo della popolazione mondiale risulta essere stata infettata a un certo punto della vita. Ecco perche', secondo i ricercatori, e' importante studiare i virus antichi: "Piu' comprendiamo meglio il comportamento delle pandemie e delle epidemie passate- conclude infine Hendrik Poinar, genetista evolutivo del McMaster Ancient Dna Center e investigatore principale all'Istituto Michael G. DeGroote per la ricerca sulle malattie infettive- maggiore e' la nostra comprensione di come i moderni agenti patogeni potrebbero diffondersi. E queste informazioni alla fine contribuiranno agli sforzi per controllare questi minuscoli killer".